Dalla query alla domanda: l’AI come nuovo intermediario di ricerca e gli effetti sulla Brand Reputation

Le ultime statistiche mostrano che l’AI è ormai un filtro attivo tra brand e ...


Recenti statistiche[1] confermano una tendenza in crescita: l’AI non è più solo uno strumento tecnologico, ma un filtro attivo tra il brand e il consumatore. Tuttavia, le aziende a volte faticano a tenere il passo, e spesso subiscono la narrazione dei modelli linguistici invece di guidarla. Si può però passare da una gestione passiva della propria immagine online a una strategia attiva di “Data Feeding”: ecco come.

 

Lo scenario attuale: Perché la SEO[2] e il SEM[3] sono la priorità #1 (per ora)

Lo scenario della comunicazione online di oggi ci fornisce un dato chiave: secondo l’Advanced Web Ranking (ottobre 2025), la quasi totalità dei click (CTR) si ferma alla prima e seconda pagina di Google, con una prevalenza di ricerche eseguite tramite dispositivo mobile.

Questo come si traduce in termini di Corporate e Brand Reputation? Istituti di credito, partner e stakeholder verificano ancora la solidità aziendale tramite la ricerca tradizionale. Essere visibili sui motori di ricerca ed avere notizie positive posizionate in alto nella SERP[4] rimane la base della credibilità aziendale.

Tuttavia, sta nascendo un binario parallelo. Le nuove generazioni (e sempre più professionisti) non cercano più solo per parole chiave, ma pongono domande complesse direttamente ad un nuovo intermediario: le Intelligenze Artificiali.

Il cambio di paradigma: dalla “ricerca” alla “risposta”

L’utente medio, soprattutto quando si tratta di audience con presenza di “Millennials” o “GenZ” (mettendo dunque insieme i nati tra la metà degli anni Ottanta e la prima decade del Duemila) non digita più “Azienda Tal dei Tali sito” sui motori di ricerca, ma chiede direttamente all’assistente AI: “L’Azienda Tal dei Tali è affidabile? Come tratta i dipendenti? Ci sono stati scandali?”. E questo non vale solo per i clienti, ma condiziona anche l’immagine aziendale nei confronti di fornitori, partner e futuri dipendenti.

Questi dati, particolarmente rilevanti per le PMI che hanno tendenzialmente meno record sui mass media tradizionali, sono la nuova frontiera per la reputazione aziendale, soprattutto per quelle realtà le cui customer personas[5] ricadono nelle generazioni native digitali.

Il pericolo del “vuoto informativo” e le allucinazioni

Il rischio è quello di incorrere in un “effetto black box”: a differenza di Google, che offre una lista di link poi scelti attivamente dall’utente, l’IA elabora una risposta unica e sintetica

Questa risposta si basa su ciò che l’AI ha “letto” nel corso suo addestramento e di cui continua a rifornirsi attraverso l’uso del web e l’aggiornamento tramite l’acquisizione di nuove fonti online per i propri data set.

Se l’AI però non trova informazioni ufficiali, aggiornate e positive (il “vuoto informativo”), rischia di riempire gli spazi mancanti con:

  • Allucinazioni, vale a dire errori generati dal sistema del modello linguistico che, pur di generare una risposta, può inventare alcuni fatti ex novo;
  • Vecchi pettegolezzi o notizie negative datate che hanno però ancora un peso digitale a causa della mancanza di informazioni recenti positive.

Di conseguenza, l’IA potrebbe associare al Brand o all’azienda un sentiment errato o pregiudizievole, semplicemente perché non ha trovato nulla di meglio da dire.

La strategia: il Data Feeding

La migliore strategia di contrasto a una reputazione negativa sulle AI è l’azione proattiva: occorre “dare in pasto” (letteralmente: Data Feeding) al Web contenuti di qualità costanti e aggiornati.

Ma cosa pubblicare? Spesso si crede di non avere contenuti aziendali rilevanti, ma questa cecità è frutto di un bias comunicativo. Le buone pratiche quotidiane dell’azienda, infatti, sono già un ottimo propellente per la reputazione di un Brand.

Non bisogna pubblicare solo promozioni, sconti e altri indicatori del marketing tradizionale, ma contenuti sostanziali: report ESG e di impegno alla sostenibilità, storia della famiglia proprietaria e dell’imprenditore nel caso di family business, news aziendali ed eventi. Se guarderete bene al cuore della vostra azienda, i contenuti saranno davvero infiniti.

Costruire una barriera reputazionale positiva

Prevenire è meglio che curare: non si può aspettare la crisi. Bisogna pre-costituire una Web Identity forte e multicanale.

Una barriera reputazionale positiva serve a contrastare le crisi (sia quelle evitabili che non) errori giudiziari o scambi di identità (nel caso di omonimie o omonimie parziali). Se l’AI ha 100 notizie positive e 1 negativa, allora la sintesi tenderà al positivo.

Queste buone pratiche, poi, vanno portate avanti senza dimenticare un precetto assoluto, che è diventato uno dei nostri mantra in SIRO Consulting: “ripulire” il web è impossibile, ma si può (e si deve) ripristinare la correttezza dell’informazione!

Conclusioni

L’IA è una sfida, ma anche un’enorme opportunità per chi sa gestirla. Le nuove tendenze dell’esperienza utente ci insegnano una necessità che diventerà un imperativo: affidarsi a professionisti per monitorare cosa l’IA “pensa” del tuo brand e costruire una strategia di contenuti che protegga il valore aziendale nel lungo termine.

 

 

[2] Search Engine Optimization, le pratiche di posizionamento che consentono una visualizzazione alta nei motori di ricerca grazie all’impiego di parole chiave ad alta indicizzazione all’interno dei contenuti pubblicati.

[3] Search Engine Marketing, quelle pratiche di marketing che, attraverso l’uso di pubblicità e sponsorizzazioni pagate, offrono maggiore visibilità tra i risultati di ricerca.

[4] Search Engine Results Page, la pagina dei risultati che Google o altri motori di ricerca restituiscono a seguito di una domanda dell’utente.

[5] Cliente tipo medio collocato nel range del target aziendale per interessi, geolocalizzazione e, particolarmente rilevante per questo tema, dati demografici.